Impiego

Luppolo, una alternativa naturale alla terapia estrogenica?

Il luppolo è noto fin dall’antichità per numerose proprietà terapeutiche, legate alla presenza di numerosi e diversificati principi attivi di cui anche la bibliografia moderna riporta l’azione benefica sul corpo umano.

La monografia OMS riporta numerosi studi in vivo che hanno evidenziato l’attività estrogenica di alcune preparazioni di luppolo su cavie, quali topi e ratti. Le indagini comunque derivano dalla tradizionale osservazione dei disturbi mestruali che si riferisce siano comuni tra le raccoglitrici degli strobili di luppolo, al punto da avere la comparsa del mestruo due giorni dopo l’inizio del raccolto delle infiorescenze, indipendentemente dal momento del ciclo in cui esse si trovano.

 

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Nei testi OMS e ESCOP si fa riferimento anche ai principali studi in vitro che per primi hanno riportato una significativa attivazione estrogenica a opera di uno dei componenti più caratteristici del luppolo, la 8-prenilnaringenina, più potente di altri estrogeni vegetali già riconosciuti come quelli della soia e del trifoglio rosso. Questo componente, isolato dalla frazione polifenolica del luppolo, è da un decennio una delle sostanze naturali più interessanti dal punto di vista biologico
e la letteratura più recente riporta molte nuove acquisizioni in merito alle sue potenzi azioni sugli organismi animali. Particolare attenzione è stata riservata anche al composto isoxantoumolo, un altro prenilflavonoide presente nel luppolo che, da un punto di vista chimico, non è altro che il derivato metilato della 8-prenilnaringenina. Di per sè questa molecola non ha effetti estrogenici, tuttavia in vivoviene demetilata dalla flora batterica intestinale nel composto di nostro interesse.

A conferma delle acquisizioni scientifiche di laboratorio, alcuni studi epidemiologici condotti a partire dagli anni ’50 fino all’inizio degli anni ‘90 e più recentemente confermati e ulteriormente convalidati, hanno evidenziato che in Giappone, in Cina e in altri Paesi orientali le donne in menopausa presentano un’incidenza molto bassa dei sintomi tipici di quest’epoca della vita.

 

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Fra i vari fattori che presumibilmente potrebbero dar conto di queste differenze rientrano quelli genetici, dietetici e culturali. Tuttavia, l’osservazione che, nelle persone di origine asiatica trasferitesi negli Stati Uniti, l’incidenza di malattie degenerative ‘’occidentali’’ diviene, nell’arco di 1 o 2 generazioni, simile a quella delle popolazioni statunitensi, ha portato a ridimensionare il ruolo dei fattori genetici e a rivolgere maggiormente l’attenzione a quelli dietetici. Questa peculiarità è stata attribuita all’elevato consumo di cibi contenenti fitoestrogeni, come la soia, da parte delle popolazioni dell’Asia orientale, rispetto all’Europa e al Nord America: la dieta orientale apporta 20-150 mg di isoflavoni al giorno mentre quella occidentale ne registra un apporto di circa 1-3 mg. Inoltre, rispetto alle donne occidentali, quelle asiatiche presentano un rischio inferiore di sviluppare tumori al seno e all’endometrio.

 

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Considerato ciò, nonostante la moderna ricerca abbia ampiamente messo a punto trattamenti per alleviare il discomfort menopausale, esiste un interesse crescente verso nuovi prodotti dotati di attività farmacologica, ma che presentino minori effetti avversi rispetto alle terapie ormonali e ai farmaci di sintesi oggi disponibili. I prodotti naturali e in particolare i fitocomplessi contenenti fitoestrogeni sono studiati con crescente attenzione perché dotati di peculiari caratteristiche quali sinergia d’azione tra i diversi costituenti, pluralità di effetti biologici e scarsa tossicità. Il luppolo, quindi, può rivelarsi un’importante fonte naturale di queste sostanze, facendo prevedere la possibilità di impiego dell’essenza vegetale per la preparazione, anche in forma di estratti e purificati, di medicinali capaci di migliorare la salute della donna.

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