Storia

Luppolo in Italia: da Pasqui ai giorni nostri!

Negli ultimi anni, anche in Italia ha preso piede la coltivazione del luppolo, ma non è una pratica così recente come crediamo sul nostro territorio. Le prime sperimentazioni destinate all’utilizzo in birrificazione risalgono addirittura alla prima metà del 1800. Hanno un luogo di origine, la provincia di Forlì, in Emilia Romagna, ed un agronomo appassionato che iniziò ad interessarsi alle specie selvatiche di questa pianta: stiamo parlando di Gaetano Pasqui (1807 – 1879). Nel 1835, la sua passione crebbe a tal punto che decise di dare vita ad un proprio birrificio. Essendosi stabilito in una casa non distante dal fiume Rabbi, sempre nel forlivese, cominciò ad isolare alcune piantine di luppolo selvatico che crescevano spontanee nelle vicinanze, sia per curiosità personale, sia per il fatto che l’importazione della materia prima dai paesi stranieri cominciava ad essere un costo non di poco conto per la sua attività imprenditoriale.

 

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Era il 1847, “fu allora che il luppolo si era fatto italiano”. Il prodotto che derivò dall’utilizzo di questo ingrediente fu una birra premiata anche a Firenze e Londra, la “Birra Pasqui”. Tuttavia il lavoro del Forlivese iniziò a suscitare il malcontento dei maggiori birrifici industriali, che per avversarlo cominciarono ad evidenziare l’inadeguatezza organolettica del prodotto. Appoggiandosi a diversi centri universitari, fece studiare il suo luppolo che risultò invece avere, analisi alla mano, caratteristiche non inferiori alle più popolari varietà germaniche. Dopo di lui, altri seguirono le sue orme. Alfonso Magiera, tra il XIX ed il XX secolo sponsorizzava le coltivazioni di luppolo presenti a Marano sul Panaro, in Emilia, invitando i contadini di allora a dedicarsi a questa nuova coltivazione; e ancora Giulio Boni, che si cimentò nella scrittura di un manuale di come avvicinarsi a questa coltura, già allora descritta come “necessaria per la produzione nazionale”.

 

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Nel nuovo millennio, un’altra pagina di storia. Dobbiamo arrivare ai giorni nostri per trovare un’altra significativa svolta nel mondo della coltivazione del luppolo. A partire dagli anni ’90 in Italia, terra storicamente di tradizione vinicola, inizia a prendere piede la produzione artigianale della birra, e nascono le prime aziende che, ancora oggi, risultano essere trainanti per la crescita dell’intero movimento: Baladin a Piozzo, Birrificio Italiano a Lurago Marinone e Lambrate a Milano, hanno raggiunto una fama tale da essere conosciuti anche dai non esperti del settore. Oggi il numero di microbirrifici presenti sul nostro territorio ha superato quota 1.000. Dopo un’iniziale ispirazione a stili birrari classici, soprattutto di scuola tedesca e belga, la celebre creatività “Made in Italy” è uscita allo scoperto. Pur non avendo ancora creato una filiera di produzione delle materie prime necessarie alla produzione (progetto oggi avviato e che continua a compiere ogni giorno passi in avanti), né impianti di trasformazione adeguati alla loro lavorazione, gli addetti ai lavori si stanno prodigando perché si arrivi presto alla creazione di un prodotto “100 % Italiano”. Occupandoci noi in questo caso specifico di luppolo, sottolineiamo i grandi progressi che si stanno registrando nel nostro Paese, dove da studi effettuati su varietà autoctone selezionate sul nostro territorio, si sta lavorando sodo alla ricerca delle prime varietà tutte italiane. Ci si riferisce in modo particolare al progetto del Comune di Marano sul Panaro, nella provincia di Modena che, in collaborazione con l’associazione Italian Hops Company ed il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma, si è posto l’obiettivo di recuperare la coltivazione di una specie autoctona di luppolo che cresceva in quelle zone tra il XVII ed il XX secolo d.C.

 

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Accanto a varietà estere già utilizzate in ambito brassicolo, sono stati piantati più di settanta genotipi indigeni con l’obiettivo di arrivare a nuove varietà che offrano la possibilità di produrre birra con caratteristiche aromatiche tipicamente italiane. Ad oggi, la coltivazione di luppolo riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole ammonta a circa 3 ettari. Considerando l’esistenza di microcoltivazioni, molto diffuse sul nostro territorio, saliamo a circa 20 ettari, consistenti principalmente in coltivazioni “prova”, avviate da piccole imprese agricole. In seguito a questo breve inquadramento storico, andremo ora a capire meglio di cosa parliamo quando ci riferiamo al luppolo, partendo dal ruolo che questo ricopre nella birra e quali componenti gli permettono di essere un ingrediente così caratterizzante.

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